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L’Ucraina, in bilico tra atlantismo e riavvicinamento alla “Madrepatria”

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Con il seguente articolo si cercherà di fare il punto sull’allineamento politico internazionale dell’Ucraina, Paese di grande interesse strategico per la strategia occidentale/atlantica e quella russa. L’articolo descrive come la posizione internazionale dell’Ucraina si sia spostata da un potenziale atlantismo sotto il governo filo-occidentale di Viktor Yushchenko ad una curiosa posizione di non-allineamento internazionale garantito da una legge nazionale sotto il governo di Viktor Yanukovich; la visita del Vice Presidente degli Stati Uniti Joe Biden dell’estate 2009 e la dichiarazione sul non-allineamento internazionale dell’Ucraina del 2010 sono i due eventi chiave analizzati per stilare delle osservazioni sugli sviluppi futuri della posizione strategica del governo di Kiev.

Le recenti dichiarazioni della NATO e dell’Ambasciatore degli Stati Uniti John Tefft riguardo l’intensificazione delle cooperazione militare con l’Ucraina, accanto a quelle del Presidente Viktor Yanukovich sul mantenimento della neutralità del suo Paese, aprono un’interessante serie di dubbi sul futuro militare prossimo e meno prossimo dello Stato post-sovietico. Allo scopo di comprendere meglio l’attuale posizione strategica di un Paese di grande peso geopolitico come l’Ucraina e di intuire i potenziali sviluppi futuri, il seguente articolo sarà strutturato nel seguente modo:

- riassumere la tendenza all’atlantismo dell’ultima fase del governo Yushchenko (fine 2009) e le sue motivazioni, legate a prospettive europeiste

- descrivere l’apparente inversione di tendenza del governo Yanukovich (da gennaio 2010 ad oggi), tra il bilanciamento degli interessi legati a Stati Uniti ed Europa con quelli legati alla Russia e la “legge di neutralità”

Iniziamo dunque questa breve trattazione riprendendo i punti fondamentali della politica estera di Viktor Yushchenko.

Il Presidente “liberale” dell’Ucraina è stato l’iniziatore della collaborazione più intensa con la NATO già nel lontano 2005 (dunque a pochi mesi dalla sua elezione) con  il lancio di un “dialogo intensificato” per l’ingresso dell’Ucraina nell’Organizzazione – procedura questa che aveva le sue radici nell’ancor più lontano 1997, anno di fondazione della NUC (Commissione Nato-Ucraina), ente con funzioni di forum di discussione per lo sviluppo di una strategia condivisa tra i due soggetti. Almeno negli intenti, il vertice NATO di Bucarest del 2008 vide i leaders alleati dichiarare con piacere che l’Ucraina sarebbe presto divenuta un membro dell’Organizzazione.

Gli alti e bassi del governo Yushchenko in politica interna – e soprattutto le sue indecisioni – erano bilanciate da una linea teorica in politica estera alquanto chiara, basata sostanzialmente su tre punti: potenziare la partnership con la NATO fino ad un’eventuale ammissione, disfarsi dell’influenza militare russa (della quale la presenza della base in Crimea rimaneva un chiaro segnale) e concretizzare l’avvicinamento all’Unione Europea – da far culminare a breve termine con l’ottenimento di un regime visa-free per i cittadini del suo Paese. Il sentimento del popolo ucraino nei confronti di queste particolari ambizioni governative pareva tutt’altro che univoco, seguendo le tipiche differenze di opinione che dividono gli abitanti dell’est da quelli dell’ovest. La parte occidentale del Paese, da sempre avversa a Mosca e con forti aspirazioni indipendentiste, era largamente favorevole alla NATO ancor prima che all’Europa; le regioni orientali, quasi tutte di lingua russa, sono state sempre poco accese nel supporto al leader arancione ed in generale più vicine alla “Madre Russia”.

L’ultimo anno al potere per Yushchenko, il 2009 appunto, ha avuto come primo evento chiave delle relazioni con il governo di Washington la visita del Vice Presidente USA Joe Biden, dal 20 al 22 luglio. Avvenuto proprio poco dopo la visita di Obama a Mosca, l’incontro si rivelò l’occasione discutere i passi successivi della tanto attesa – da Yushchenko – integrazione nel sistema atlantico. La risposta di Biden fu positiva sì, ma quantomeno diplomatica nell’uso dei termini: gli Stati Uniti avrebbero supportato il desiderio ad entrare nella NATO dell’Ucraina se in quest’ultima fossero state appianate le divergenze in proposito. Va notato inoltre come Biden avesse evitato attentamente di citare la sigla indicante l’Organizzazione per il Trattato dell’Atlantico del Nord, preferendo la più diplomatica locuzione “integrazione atlantica”, onde non rendere ancora più tesi i rapporti con Mosca (senza dimenticare gli stessi elettori ucraini).

Si parlò anche di economia: Yushchenko cercava infatti di sfruttare la sua benevolenza verso Washington in cambio di supporto tecnico ed economico nella ristrutturazione dei gasdotti ed in generale supporto nell’ennesima disputa per il gas. Inoltre, Yushchenko cercò di mostrare a Biden l’impegno dell’Ucraina nelle riforme economiche: lo stesso Biden infatti augurava una riappacificazione tra Yushchenko ed il Primo Ministro Yulia Timoshenko per far divenire finalmente realtà le riforme necessarie per il risanamento economico e per l’ottenimento del vitale prestito del Fondo Monetario Internazionale. In ogni caso, la sortita ucraina di Biden non si limitò all’appena ricordato “colloquio amichevole” con Yushchenko, ma si concretizzò anche come una “esplorazione” del futuro politico prossimo di Kiev. Biden infatti volle incontrare personalmente gli altri candidati impegnati nella lunga campagna elettorale, onde avere un’idea delle direzione nelle quali la politica estera dell’Ucraina avrebbe potuto svilupparsi: azione più che comprensibile, visto il sensibile calo nel consenso del Presidente in carica. A seguito di questi incontri, Biden iniziò ad esporre in patria (e non) le preoccupazione proprie e degli Stati Uniti per una vittoria di Viktor Yanukovich, il sospettato di “brogli” del 2003-04 e personaggio vicino al Cremlino. Nonostante le palesi inferiori possibilità di vittoria, allo staff di Washington sembrava piacere l’agenda politica di Arseniy Yatsenyuk, leader dell’iniziativa popolare “Fronte del Cambiamento” (“Фронт Змін”), oggi partito politico a tutti gli effetti. Yatsenyuk, ex-membro del partito di Yushchenko, si presentava come politico “pulito” (poteva vantarsi di essere l’unico candidato presidenziale a non essere mai stato incriminato), sembrava un buon partner per gli USA: come anti-russo e dichiarato anti-comunista pareva avere parecchi punti a Washington, anche se bisogna ricordare che la sua “qualità” come partner derivava anche dal fatto di essere tra un gruppo di candidati presidenziali tutti generalmente indigesti per gli Stati Uniti.

In ogni caso, in seguito alla visita di Biden, nonostante tutti i problemi di stabilità governativa restassero clamorosamente irrisolti, Yushchenko riuscì a far muovere altri pesanti passi verso ovest al suo Paese: il 21 agosto il Segretario Generale NATO Rasmussen e l’Ambasciatore ucraino presso la NATO stessa Ihor Sagach firmarono la dichiarazione per una “Distinctive Partnership” volta all’incremento del dialogo politico e militare tra l’Ucraina e l’Organizzazione, con lo scopo di accelerare il processo di ammissione del paese ex-sovietico, guadagnando un’ulteriore pedina nel processo di assedio dei confini russi. Tutto questo, mentre i rapporti con Mosca non facevano che precipitare: mentre il problema del gas rimaneva irrisolto, l’affare Lisenko riportava in auge il problema della flotta del Mar Nero. La Russia aveva ancora in affitto l’importante base della Crimea, con scadenza fissata al 2017, e Yushchenko aveva costruito uno dei suoi cavalli di battaglia proprio attorno al secco rifiuto di estendere tale contratto agli ingombranti vicini: pertanto, una maggiore vicinanza alla NATO avrebbe pesantemente perorato la causa dello “sfratto” dell’imponente flotta russa. Purtroppo per Yushchenko, i suoi errori in politica interna portarono all’inevitabile fiasco elettorale alle successive elezioni del 2010, spingendo nel baratro anche le speranze di “occidentalizzazione” geopolitica di Kiev.

Il tracollo di Yushchenko alle elezioni politiche pareva aprire, attraverso l’approdo di Viktor Yanukovich al seggio presidenziale, una nuova era caratterizzata dall’abbandono dell’atlantismo in favore di un profondo riavvicinamento a Mosca: ebbene, nonostante alcuni cambiamenti di rotta interessanti, il Presidente ha scelto ufficialmente una linea di “non allineamento”, che più praticamente si concreta in una politica di bilanciamento dei “tre fronti” di politica estera del paese. E’ una scelta indubbiamente difficile, vista la suscettibilità dei due principali interlocutori – Stati Uniti e Russia – senza dimenticare il peso che le relazioni con l’Unione Europea hanno sull’opinione pubblica.

Onorando le sue promesse di miglioramento dei rapporti con la Russia, il 21 aprile 2010 Yanukovich e Dimitri Medvedev firmavano un accordo per il rinnovo fino al 2042 (con un’opzione per altri 5 anni) del mantenimento della flotta del Mar Nero in Ucraina, in cambio di una revisione degli accordi in materia di transito e acquisto gas.

E’ interessante notare come lo status di Paese non allineato fatto assumere all’Ucraina dal governo Yanukovich non è stato desunto da comportamenti riscontrabili de facto né è stato preso tramite una semplice dichiarazione d’intenti del governo, ma è stato ufficialmente discusso ed approvato da una legge del Parlamento, in data 3 giugno 2010. Tale atto blocca – almeno sul piano giuridico e formale – l’adesione dell’Ucraina a qualsivoglia blocco militare, pur lasciando spazio alla cooperazione esterna nel settore strategico-militare: in parole povere, finché l’atto sarà in vigore, non vedremo mai ad esempio l’Ucraina nella NATO, ma potremo vederla “accanto” ad essa, tramite azioni di supporto truppe e aiuti logistici in differenti scenari di crisi. Senza dimenticare che già il 7 giugno alcuni ufficiali dell’esercito ucraino visitavano la base NATO di Hohenfels per uno scambio di know-how logistico-militare nel quadro del PARP (Partnership for Peace Planning and Review Process); in più, solo tre giorni dopo, la Marina ucraina inviava una nave da guerra in supporto alle operazioni anti-terrorismo della NATO nel Mediterraneo – cosa, per la verità, fatta in precedenza anche dalla Russia stessa. Un evento ancor più rilevante invece è stato l’incontro tra il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen e Yanukovich in persona, avvenuto il 24 febbraio di quest’anno. Durante tale meeting, Rasmussen ha affermato l’impegno della NATO nel supportare l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, come una sorta di ringraziamento per l’impegno del paese ex-sovietico a mantenere comunque una sottile apertura alla collaborazione con l’occidente.

In linea generale, l’impegno ucraino in teatri d’interesse degli Stati Uniti e della NATO si è generalmente affievolito con l’uscita di scena di Yushchenko: sono pochi i militari impiegati direttamente nelle attività ISAF ed in Iraq, mentre è maggiore il supporto logistico indiretto. In ogni caso, il Presidente Yanukovich ha spesso cercato di “smorzare” il peso politico e mediatico delle attività svolte “a braccetto” di queste imponenti controparti occidentali, proponendole all’elettorato come atti dovuti a causa di contingenze internazionali (leggasi “lotta al terrorismo”, ad esempio), ma esterni ad un quadro di impegno militare più stretto. Di contro, si mantiene costante il supporto di NATO e Stati Uniti sul territorio ucraino in numerosi settori, dallo sviluppo infrastrutturale a quello della sicurezza territoriale.

Alla luce di tutto questo, l’Ucraina può davvero essere definita come un paese “non allineato”? Non propriamente: più che altro, pare che voglia mirare a divenire un paese “allineato con tutti”. Il Presidente Yanukovich sta palesemente camminando sulla (sottile?) linea di demarcazione che separa il blocco occidentale (USA-NATO-UE) dall’orbita russa, sfruttando le rivalità delle diverse controparti internazionali per poi massimizzare i vantaggi.

Ma dunque, può essere rischioso per l’Ucraina mantenere questa linea? Probabilmente no, almeno in breve periodo. Riflettiamo sui seguenti punti: la “legge di neutralità” è stata un’ottima iniziativa per guadagnarsi la fiducia di Mosca, già resa più che discretamente stabile dal mantenimento della base navale del Mar Nero.

I veri rischi di un’incrinatura nei rapporti con la Russia potrebbero venire innescati non tanto da questioni di politica estera, quanto da temi di politica interna e di revisionismo storico. In tale frangente, restano in prima linea il tema della rivalutazione storica dei “partigiani” ucraini dell’ovest che si opposero all’Unione Sovietica prendendo le parti della Wermacht e, andando ancora più indietro nella storia, il dibattito sull’“eroismo” di Ivan Mazera, condottiero cosacco anti-russo considerato un pioniere dell’indipendentismo ucraino.

Per Washington, nonostante il fatto che – almeno sul piano formale – l’Ucraina rifiuti di impegnarsi in ogni tipo di “cooperazione ufficiale”, l’ex repubblica socialista rimane un tassello possibile da conquistare sulla scacchiera geopolitica eurasiatica. Come abbiamo visto, nonostante “l’eroico” decreto, l’Ucraina continua a supportare la NATO, ma soprattutto persevera nello “sfruttare” tale organizzazione non solo in maniera militare e civile, ma anche per avvicinarsi all’Unione Europea. Nei piani statunitensi, è più che evidente che la “conquista” Ucraina rimane un passo possibile, solo rinviato in avanti nel tempo da un politico scaltro come Yanukovich: questa attuale mutua assistenza, più lontana dal clamore delle cronache di una vera e propria adesione alla NATO, può aiutare l’ovest ad entrare più sottilmente sul territorio ucraino, creando le condizioni ideali per una futura repentina adesione dell’Ucraina all’Organizzazione.

Per concludere, non resta che chiedersi per quanto tempo l’Ucraina potrà continuare con questa “duplice” linea politica: probabilmente solo fino a quando non si giungerà di fronte ad una situazione ove mantenere una posizione di neutralità non corrisponderà alla massimizzazione dei profitti in campo strategico ed economico. Meno probabile è un allineamento “forzato” imposto da uno dei due ingombranti alleati, che di fatto spingerebbe il tanto anelato territorio sotto l’egida del “blocco” rivale.

*Giuliano Luongo collabora come analista per il progetto “Un Monde Libre” della Atlas Economic Research Foundation


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